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Due Rocche Trail: non c’è nulla di epico, solo caparbietà

Il 25 aprile, mentre in tutta Italia si correva tra borghi, parchi, asfalto e storia, io ero lì, impantanato – letteralmente – nella mia sfida personale: la Due Rocche Trail, 35 chilometri con 1800 metri di dislivello positivo, nel cuore del Veneto, a Cornuda, in provincia di Treviso.

Non c’è nulla di epico, davvero. C’è solo caparbietà.

Un ritorno fangoso dopo sei anni

Non ricordo nemmeno come venni a sapere della Due Rocche. So solo che sei anni fa corsi la 22 km e mi piacque subito. Il tracciato, i paesaggi collinari tra vigneti e boschi, l’aria di festa. Quest’anno, per ragioni che sfuggono alla logica, ho alzato l’asticella: ho scelto la 35 km, convinto che fosse “solo un po’ più lunga”.

Spoiler: è stata molto, molto più dura.

La magia – e la trappola – della Due Rocche

La Due Rocche si corre dal 1972. È una gara storica, che si è adattata ai tempi senza perdere il suo spirito originario. Parte da Cornuda e si sviluppa su percorsi che incrociano arte, natura e memoria storica. La scelta delle distanze è ampia: si va dalla camminata tra i vigneti ai 6 km per principianti, ai 12 km per chi vuole iniziare a “sentire” il dislivello, fino alla classica da 15 km con 720D+ che collega la Rocca di Asolo a quella di Cornuda. Ma le vere sfide iniziano con le tre distanze trail: 22 km (960D+), 35 km (1800D+) e 51 km (2660D+).

Un’offerta che accontenta tutti, dal principiante al trail runner più hardcore. E non a caso, le gare trail sono qualificanti per l’UTMB.

L’organizzazione è rodata, anche se da qualche anno è cambiata. E si vede. C’è attenzione al dettaglio, dalle medaglie per tutti (prima non era così) ai gadget pensati per ogni distanza. Magliette tecniche in cotone, scaldacollo, cappellini, persino un borsone per la 51 km. Non sono solo “premietti”, ma piccoli riconoscimenti che ti fanno sentire parte di qualcosa.

Cornuda non è solo un punto di partenza. È un paese immerso tra le colline del Prosecco, un angolo autentico del trevigiano a due passi da Bassano del Grappa, Marostica e Asolo. Qui il paesaggio è un mix perfetto di natura e tradizione: vigneti ordinati, sentieri che si arrampicano tra i boschi e una storia che si respira ad ogni passo. Dopo la gara, concedersi una visita a una cantina locale o assaporare un piatto con i tipici asparagi bianchi della zona è quasi d’obbligo. Ma fatelo dopo, perché prima c’è da sudare. E parecchio.

Cornuda e dintorni: fatica, storia e... prosecco

Edizione 2025: una lezione di trail... sotto la pioggia

Il meteo ad aprile è una roulette russa. Il 24 aprile, a Cornuda, c’era il sole e l’atmosfera da classica di primavera. Ma durante la notte, le nuvole hanno deciso che dovevamo soffrire. Pioggia battente fino all’alba, e poi ancora durante la gara.

Fango ovunque. Le salite diventavano pareti viscide. Le discese? Toboga naturali dove si scivolava più che correre. All’inizio si rideva, ci si aiutava. Più tardi, si arrancava aggrappandosi a radici e alberi. Correre era un miraggio. In certi tratti era impossibile anche camminare dritti.

A un certo punto il mio Garmin segna 37 km. Ma la gara doveva finire due km prima! Panico. Mi accorgo di aver sbagliato percorso. Non so dove, non so quando. Sono da solo, fradicio, stanco, e con la testa che urla: “basta così”. Ma vado avanti. Non per eroismo. Solo per testardaggine.

Due persone mi affiancano: fanno la 51 km. Ho decisamente sbagliato. Poi incontro una ragazza che mi dice che il suo GPS segna 31 km. E io? Sono a 38. Mi rendo conto che il fango, lo sforzo, il disorientamento hanno anche sballato l’orologio.

Alla fine arrivo. Sfinito. Sporco. Distrutto. 7 ore e 19 minuti, secondo il Garmin ho fatto 46 km con 2200 D+. Ma a quel punto, chi se ne importa dei numeri? Quello che conta è esserci arrivati.

Non c’è stato nessun traguardo in gloria, nessuna foto da eroe, nessuna lacrima di commozione. Solo la certezza che, quando tutto sembrava spingermi a mollare, non l’ho fatto.
E in fondo è questo che mi porto a casa: la lezione del trail. L’insegnamento che nella corsa – come nella vita – non sempre c’è poesia. Ma c’è sempre una scelta. E io ho scelto di andare avanti. Di non cedere al fango, né a quello sotto le scarpe né a quello che a volte ci invade la testa.

Alla fine? Una pizza, una birra e i miei figli che mi aspettavano. E tutto ha avuto senso.

Perché non servono medaglie lucide o tempi da podio per sentirsi arrivati. A volte basta essere rimasti in piedi quando tutto intorno crollava. Basta quel passo in più, anche se lento, anche se doloroso.E anche se non c’è stato nulla di epico… è stata la mia piccola, testarda vittoria.

è stata la mia piccola, testarda vittoria.

in conclusione

MATEO BOMBELLI

Matteo, aka Ghim – La corsa per me è nata come un’esigenza di salute, ma oggi è parte integrante della mia vita. Non sono un runner veloce, ma un podista da chilometraggio: amo macinare chilometri, perché è lì che trovo la mia dimensione. 

Lo rifarei? Forse sì. 

Lo rifarei? Forse sì. Ma forse la 22 km…

La Due Rocche è una gara che consiglio a chi vuole cambiare terreno, cambiare prospettiva, cambiare approccio alla corsa. Il trail non è solo una disciplina: è un modo diverso di affrontare la fatica. Un dialetto della corsa che parla di natura, ostacoli, fango, e soprattutto resilienza. Perché correre tra gli alberi, scivolare nel fango, restare soli in mezzo al bosco, sbagliare strada e continuare lo stesso… ti insegna qualcosa che nessun allenamento su asfalto potrà mai darti. Ti mette davanti ai tuoi limiti, ma anche alla tua determinazione.

La montagna non fa sconti, ma ti restituisce tutto. Anche quando non la conquisti come volevi, lei ti cambia dentro. Ti rende più umile, più forte, più vero. Quindi vi Consiglio  di cambiare terreno ogni tanto per cambiare approccio ad uno sport che ha mille dialetti.

Ci vediamo forse tra quattro anni. Ma magari con un po’ meno dislivello. O forse no.

Perché, in fondo, anche se diciamo che basta… il richiamo del trail prima o poi torna. E allora ci ricaschi. Con il cuore pesante e le gambe leggere. Con la consapevolezza che non c’è nulla di epico, ma che quella caparbietà che ti spinge a non mollare… è già una vittoria.

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